È ormai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nelle società di persone l’insanabile dissidio venutosi a creare tra i soci, caratterizzato da una situazione di conflitto e discordia tale per cui risulti oggettivamente impossibile il raggiungimento dei fini sociali, configuri una causa di scioglimento della società stessa ai sensi dell’art. 2272 c.c.
Il legislatore ha infatti previsto che la società si scioglie:
- per decorso del termine, qualora lo stesso sia stato fissato;
- per il conseguimento dell’oggetto sociale o per sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
- per volontà di tutti i soci;
- quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita;
- per le altre cause previste dal contratto sociale.
In particolare, l’insanabile dissidio sorto tra i soci viene ricondotto all’ipotesi di sopravvenuta impossibilità del conseguimento dell’oggetto sociale.
Secondo quanto più volte affermato dalla Suprema Corte e dalla giurisprudenza di merito, i contrasti esistenti tra i soci devono determinare una paralisi assoluta e definitiva dell’attività sociale.
Nel concreto, la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale a causa del conflitto tra i soci deve essere valutata con riguardo alla sanabilità del dissidio stesso, alla conciliabilità del dissidio: qualora il contrasto appaia un ostacolo insormontabile allora si ricadrà senza dubbio in un’ipotesi di scioglimento della società.
Il dissidio insanabile conduce inevitabilmente alla impossibilità della prosecuzione dell’attività comune ed influisce inoltre sulla continuità dell’organizzazione sociale, concretizzandosi in una situazione ostativa alla formazione delle decisioni necessarie allo svolgimento dell’attività sociale.
In ogni caso, la stessa giurisprudenza ha sottolineato come non sempre i dissidi sorti tra i soci siano qualificabili come causa di scioglimento della società poiché gli stessi potrebbero non essere di rilevanza tale da rendere il impossibile il perseguimento dell’oggetto sociale: ad esempio, si è affermato che non potrebbero essere poste a fondamento dell’insanabilità del dissidio le inerzie, irregolarità e debiti fiscali lamentati dal socio ricorrente che però non abbia specificato per quale motivo non possa egli stesso porvi rimedio (Trib. Prato 6 maggio 2010) o le gravi inadempienze di uno dei soci le quali però non sarebbero sufficienti a determinare un contrasto insanabile tale da impedire il conseguimento dell’oggetto sociale (Cass. Civ. n. 6410/1996).
In taluni casi, ove evidentemente non sia ipotizzabile lo scioglimento della società per impossibilità sopravvenuta del conseguimento dell’oggetto sociale, ai soci non saranno tuttavia preclusi i rimedi del recesso o dell’esclusione del socio dalla società, qualora né sussistano i presupposti.
Nelle ipotesi in cui il disaccordo dei soci non generi in concreto una situazione riconducibile allo scioglimento del vincolo sociale, si potrà quindi indagare se il conflitto configuri un’ipotesi di giusta causa di recesso. È importante sottolineare che, affinché si possa parlare di rimedio del recesso, deve essere concretamente indagata la natura e la portata del dissidio proprio perché il semplice disaccordo in merito alla gestione della società non costituisce una giusta causa di recesso, dovendo invece sussistere un comportamento che renda impossibile il proseguimento dell’esercizio in comune dell’attività d’impresa.
La giurisprudenza ha inoltre osservato come nelle società di persone composte da due soli soci, nei casi in cui il dissidio tra i soci sia imputabile al comportamento di uno di essi che si sia reso gravemente inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali, il conflitto potrà essere rimosso mediante l’esclusione del socio inadempiente o il recesso per giusta causa del socio adempiente.
Da ultimo il Tribunale di Milano, sez. spec. in materia di imprese, con Sentenza del 16 novembre 2020 ha osservato come l’irrimediabile conflittualità tra i soci non costituisce ipso facto causa di scioglimento di una società di persone, qualora l’esercizio dell’attività sociale prosegua regolarmente senza interruzioni. Tale contrasto tra i soci assume infatti rilevanza solo quando comporti una completa paralisi dell’attività imprenditoriale. In questi casi evidentemente il conflitto che non potrà essere sanato con lo scioglimento potrà essere sanato mediante recesso del socio non inadempiente o dell’esclusione del socio inadempiente.
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