In questi ultimi anni la giurisprudenza di merito e di legittimità ha avuto l’occasione di esprimersi sul tema dell’utilizzo di internet sul luogo di lavoro per scopi estranei al rapporto di lavoro ed in particolare in tema di social network.
Il fenomeno dell’uso delle piattaforme social, in continua evoluzione, è ormai ampiamente diffuso e sembra interferire sempre più con tutti gli aspetti della vita umana, sconfinando anche nei rapporti lavorativi. Il dilagare dell’utilizzo delle tecnologie pone una serie di problematiche sul coordinamento delle normative poste a tutela della privacy dei lavoratori e la tutela del datore di lavoro che si trova ad affrontare comportamenti dei dipendenti che possono compromettere il buon andamento dell’impresa.
La giurisprudenza negli ultimi anni si è quindi trovata ad affrontare, in più occasioni, questioni relative alla legittimità del licenziamento in caso di uso improprio e/o illecito di internet e dei social network sul luogo di lavoro, ma anche in caso di utilizzo degli stessi al di fuori dell’orario e del luogo di lavoro, quando tale utilizzo potesse arrecare un danno al datore di lavoro.
Pur essendovi orientamenti giurisprudenziali non sempre concordi, nel corso degli ultimi anni, non sono mancate sentenze miranti a far prevalere l’interesse del datore di lavoro a che il lavoratore sia ritenuto responsabile per il suo “assenteismo” virtuale, dovendo essere inquadrato tale comportamento come un inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
Un esempio di tale orientamento è la nota sentenza n. 3133/2019 della Corte di Cassazione, che ha confermato le precedenti decisioni del Tribunale di Brescia (sentenza del 13 giugno 2016, n. 782) e della Corte di Appello di Brescia che avevano dichiarato legittimo il licenziamento di un lavoratore per un numero eccessivo di accessi ad internet per scopi estranei al rapporto di lavoro ed in particolare per un accesso eccessivo al proprio profilo Facebook e WhatsApp durante l’orario di lavoro.
Oltre ad alcune pronunce di merito dello stesso orientamento favorevole al datore di lavoro, si evidenzia come già in precedenza sempre la Cassazione (ad es. Cass. 13 giugno 2017, n. 14862), in più occasioni, avesse affermato come il continuo accesso ad Internet o alla propria pagina personale Facebook potesse giustificare la sanzione del licenziamento disciplinare da parte del datore di lavoro.
Un aspetto da prendere in considerazione con riferimento a tale orientamento giurisprudenziale è però il problema del bilanciamento da attuarsi tra la tutela del datore di lavoro a non essere compromesso e danneggiato da tali comportamenti scorretti dei dipendenti e la necessità di garantire un’idonea tutela della privacy dei dipendenti stessi. Appare infatti complesso trovare un punto di equilibrio tra i contrapposti diritti e interessi in gioco, spesso tutelati da fonti normative differenti, ma di pari rango.
I doveri di diligenza, di fedeltà e di obbedienza incombenti sul lavoratore, come imposti dal codice civile, possono essere in caso di violazione motivo di sanzioni disciplinari, ma, non sempre, appaiono di facile conciliazione con quanto statuito dalla normativa sulla privacy e dallo Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970).
In particolare, lo Statuto dei lavorati fissa precisi limiti al controllo del datore di lavoro che egli può attuare nei confronti dei dipendenti:
– da un lato, viene in rilievo quanto stabilito dall’art. 4, ovvero il cd. controllo a distanza: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. … In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti … possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro”;
– dall’altro, l’impossibilità per il datore di lavoro di impiegare guardie giurate al controllo e vigilanza sull’attività lavorativa (art. 2).
Soccorre in parte quanto suggerito dal Garante per la protezione dei dati personali con la delibera n. 13 del 1° marzo 2007 il quale, nel fissare le linee guida per l’utilizzo della posta elettronica e internet nei luoghi di lavoro, ha appunto suggerito l’adozione di un disciplinare interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente, con il quale siano specificati se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla navigazione in rete, oppure alla tenuta di file nella rete interna e in quale misura sia consentito utilizzare, anche per ragioni personali, servizi di posta elettronica o di rete, indicandone le modalità e l’arco temporale di utilizzo (ad esempio, fuori dall´orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro). Se il codice disciplinare aziendale dovesse vietare l’accesso alla rete internet e l’utilizzo della posta elettronica per scopi personali, evidentemente il licenziamento sarà legittimo nel caso in cui tali comportamenti, della cui inammissibilità il lavoratore era a conoscenza, siano stati comunque attuati.
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