INDAGINI SUL LAVORATORE CHE COMMETTE ILLECITI DISCIPLINARI

Nel codice civile è espressamente prevista, all’art. 2106 c.c., la possibilità per il datore di lavoro di applicare sanzioni disciplinari nel caso in cui il prestatore di lavoro non osservi l’obbligo di comportarsi diligentemente nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative, non osservi le disposizioni impartite dal datore di lavoro per l’esecuzione delle stesse o violi l’obbligo di fedeltà. Tale possibilità rimessa al datore di lavoro si concretizza nel suo potere disciplinare, il quale trova regolamentazione, altresì, nell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), norma che delinea le modalità di esercizio del potere disciplinare.
Il procedimento sanzionatorio, che non può prescindere dalla preventiva conoscenza del lavoratore delle regole che devono essere rispettate durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, non può che prendere avvio dalla conoscenza da parte del datore di lavoro del comportamento illecito del lavoratore.

Si pone quindi il problema in merito al metodo attraverso cui tale fatto, che potrebbe essere oggetto di procedimento disciplinare, diviene noto al datore di lavoro.

Le problematiche sorgono, non tanto quando il datore di lavoro si sia limitato a ricevere passivamente notizia delle infrazioni, ma quando, al fine di acquisire i necessari elementi di giudizio per verificare la configurabilità o meno di un illecito, egli (direttamente o mediante propria struttura organizzativa) svolga indagini che in qualche modo possono pregiudicare la sfera privata, la riservatezza o comunque le prerogative dei lavoratori.

In tal caso, è necessario comprendere fino a che punto possa estendersi il potere di vigilanza del datore di lavoro al fine di permettergli l’esercizio del potere disciplinare.

L’esercizio del potere di controllo si scontra con i limiti imposti dal legislatore agli art. 2 e 4 dello Statuto dei lavoratori, i quali prevedono il divieto di adibire guardie giurate alla vigilanza dei lavoratori e il divieto dei controlli a distanza. Quest’ultimo divieto si concretizza nelle limitazioni relative all’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti con finalità di controllo del lavoratore, mentre non sussiste divieto di utilizzo con riferimento agli strumenti che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio, computer, telefoni, tablet).

In passato la Cassazione si era già espressa in merito al fatto che le norme statutarie che garantiscono la libertà e la dignità dei lavoratori non escludono però la possibilità per il datore di lavoro di controllare il corretto adempimento delle prestazioni lavorative al fine di accertare mancanze specifiche dei lavoratori già commesse o in corso di esecuzione (Cass. 1455/1997). In tale ottica, è stata pertanto ammessa la possibilità di controllo mediante un sistema computerizzato di rilevazione e documentazione.

Inoltre, le più recenti pronunce giurisprudenziali ammettono la possibilità di ispezioni effettuate dal datore di lavoro sugli strumenti di lavoro informatici concessi in uso ai lavoratori, senza che sia necessario un preventivo consenso del dipendente nel caso in cui tale controllo sia finalizzato ad accertare il compimento di atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione lavorativa (si vedano le sentenze Cass.14862/2017 e Cass. 26682/2017).

Da un punto di vista pratico, per poter installare ed utilizzare impianti audiovisivi e sistemi di controllo a distanza all’interno del luogo di lavoro, il datore di lavoro deve aver raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali o, quantomeno, aver ricevuto l’autorizzazione ministeriale. L’esercizio di un controllo a distanza effettuato sugli strumenti utilizzati dal lavoratore per eseguire le proprie mansioni e sugli strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze non richiede invece un obbligo per il datore di lavoro di raggiungere una intesa sindacale o altra autorizzazione proprio perché tale controllo deve essere ritenuto “libero”.

 

Quello che però, anche in tale ultimo caso, appare insormontabile è il limite imposto al datore di lavoro del rispetto della normativa sulla privacy. Infatti, il lavoratore deve preventivamente essere stato informato della possibilità del controllo e dei modi in cui può essere effettuato il controllo attraverso una specifica indicazione degli strumenti utilizzati per l’acquisizione dei suoi dati personali.

 

Il Garante della Privacy, con la delibera n. 13 del 2007, ha adottato le linee guida per posta elettronica e internet in ambito aziendale; ha inoltre prescritto ai datori di lavoro di informare con chiarezza e in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli sugli stessi. Il Garante ritiene, in ogni caso, inammissibile la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail e il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate dal lavoratore, perché ciò realizzerebbe un controllo a distanza dell’attività lavorativa che non trova nessun contro bilanciamento.

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